Profeta.

 

 

 

 

Facciamo i profeti, portiamo Gesù nel mondo, usando gli strumenti del mondo.  Così organizziamo spettacoli, gare,  vacanze, feste,  giochi e cose da mangiare. Il tutto per attirare l’attenzione, per convincere a partecipare, per rendere gradevole quello che gli offriamo. Ci preoccupiamo di far venire più persone possibile, che le luci siano posto, che il microfono funzioni, che lo spettacolo sia piaciuto. Come se l’importante sia far contenti gli altri, essere adattati, essere competitivi anche con le altre associazioni religiose o parrocchiali.

Rischiamo a volte di assomigliare alle aziende che vendono i prodotti.  Rischiamo di far diventare la nostra testimonianza un tentativo di convincere con le parole, con le più belle parole. Poi ci stupiamo quando parliamo di croce e di sacrificio che gli altri si allontanano. Non riusciamo a fermare l’emorragia neppure parlando di sforzo, impegno e responsabilità. Non riusciamo a convincere alla fatica e alla donazione di sé un popolo impostato e formato alla soddisfazione di sé, all’esaltazione di sé,  all’adorazione di sé. Un popolo che noi stessi abbiamo servito, assecondato, adorato.

Ma allora come fare? Gesù manda gli apostoli a due a due. Niente clamore. Niente luci, niente convention. Due bastano. Perché quello che conta nella fede, non è  convincere. La fede non è  un’idea, la fede è un Dio che passa da un cuore a un altro cuore. La fede è nella relazione  vera, profonda, autentica. È una proposta di un Dio-Persona  che, attraverso di te, si vuole incontrare con l’altro. È Dio che guarda attraverso i tuoi gli occhi,  l’altro. È Dio che parla con la tua voce, all’altro. È Dio che  prende con le tue mani, la mano dell’altro. Non avviene nel clamore, nella confusione, nella massa. Non avviene nella suggestione. Avviene nel cuore e l’incontro diventa personale, misterioso, divino.

Non devi prendere altro, né pane, né sacca, né denaro, né vestiti. Quando c’è Dio non c’è bisogno di altro. Lui è tutto, lui è l’essenziale. Devi rivestirti di lui, dell’essenziale, perché gli altri lo vedano. Devi essere nell’assenza, per far posto alla presenza di Dio, alla sua provvidenza. Devi lasciare l’apparenza, per far posto all’essenza di Dio, che si incontra con l’essenza dell’uomo.

“Dovunque entriate in una casa, rimanetevi”. Essere profeta è andare, non aspettare che gli altri vengano. È entrare nella situazione dell’altro, nella sua vita concreta, nella sua casa. Ma non per diventare una sua cosa, non per diventare come le sue cose, non per confondersi con le sue cose. Significa entrare nella casa del suo cuore e lì portare il cuore di Dio perché possa partecipare del suo dolore, della sua gioia, della sua fatica e della sua paura.

Essere profeta è essere presi, scelti, chiamati e inviati.   E’ scendere, è non stare in alto, è calarsi nel quotidiano, nel concreto. Non è dire, è fare, è essere.

E’ portare Dio, la sua parola, il suo progetto misterioso di salvezza.