Maria

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In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.  Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

 

 

 

 

Come   Maria.

 

Custodisci  anche tu   le cose di Dio,  nel tuo cuore.      Proteggile,  riparale,  conservale.  Lasciale maturare nel tuo cuore.    Lasciale parlare al tuo cuore.   Lasciale riscaldare il tuo cuore.

 

 

Con   Maria.

 

Anche tu,    lasciati custodire nel suo cuore.      Rifugiati nel suo cuore.   Insieme a Gesù.  Lì lo trovi.   Lì lo senti.   Lì lo puoi contemplare.       Con i suoi occhi.

 

Anche tu,   sei una cosa di Dio.

E lei,   è tua Madre.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tuo prossimo

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».  Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

 

La croce che ti salva, è fatta di un legno verticale, che va verso Dio e di un legno orizzontale, verso il prossimo. Le due cose si incrociano, si integrano, si completano. L’amore verso Dio, senza l’amore verso il prossimo, non fa la croce. Non diventa croce.

Chi è il prossimo? Come lo ami? Gesù te lo spiega.

È quello che il Signore ti mette sulla strada, quello che incontri, quello che vedi. È  quello a cui passi vicino, è quello a cui  sei più  vicino. È colui che è depredato, truffato, umiliato, offeso, calpestato. È colui che è ferito, sanguinante, pestato, dolorante. È colui che è distrutto, spezzato, rovinato. Colui che è abbandonato, isolato, rifiutato, denigrato.

Come lo ami? Cosa fai?

Come il sacerdote e il levita.   Lo guardo solo, e me ne vado. Che c’entra con me? Ho altro da fare, più importante. Non ho tempo per lui. Non deve prendere il mio tempo. Non deve impedire il mio cammino, non mi deve bloccare, non è il mio scopo, non è la mia meta. È un ostacolo, un intralcio, un fastidio.

Non è il mio compito. Nessuno me lo ha detto, nessuno me lo ha comandato. Non è prescritto. Devo eseguire solo il mio compito. Devono essere preciso, pulito, puro, perfetto. Se lo aiuto, mi sporco, mi macchio, mi contamino, e non sono più puro e non sono più perfetto. Mi interessa soltanto di non rovinare la mia immagine, la mia figura, la mia scena.

Poverino, mi fa pena, uno sguardo di pietà soltanto. Una telefonata, basta. Una parola di convenienza, una parola all’occorrenza, giusto per far vedere che mi sono interessato.

Non mi fermo perché non me lo ha chiesto. Se me lo chiedeva, lo aiutavo. Deve essere lui a chiedere. Allora io rispondo, ma solo per convenienza. Ma non mi deve chiedere altro. Solo una cosa, solo per poco e solo per una volta.

Non mi fermo perché non mi interessa, non lo conosco, non è mio amico, mio parente, mio conoscente. Avrà fatto qualcosa di male. È colpa sua, peggio per lui.

Non è colpa mia se non mi fermo, è colpa sua che si è fatto picchiare. Doveva essere più  furbo, come me. Non doveva finire nelle mani dei briganti. Non doveva trovarsi lì, e farmi sentire in colpa.

Perché mi devo fermare? Che ci guadagno? È un poveraccio, non ha soldi. Anzi ci rimetto, mi toccherà darglieli. Di sicuro perdo tempo e perdo soldi. Chi me lo fa fare?

Poi,  chi vede che non mi fermo? Non c’è nessuno. Nessuno si accorgerà che non mi sono fermato. Lui sta male, io faccio finta che non ci sono.  Faccio finta che non ho visto, non ho sentito, non sono proprio passato di qua. Anzi, cambio strada, così nessuno vede che ho visto.

Meglio non intervenire, perché ci posso rimettere. Mi può creare problemi. Mi vado  ad  infilare nei guai. Già ne ho tanti! Ognuno ha i suoi.

Non voglio avere a che fare con il dolore, con le ferite, con la violenza. Non la voglio vedere, non la voglio toccare. La nego. Non è stato picchiato, se l’è fatto da solo. È caduto.

Se prendo le sue difese e poi se la prendono anche con me? Se passo dalla sua parte, possono farmi la stessa cosa. Posso fare la sua fine.

Quel poveraccio è uno sfigato. Sta dalla parte dello sfigato. Mi devo distinguere, non devono avere a che fare con gli sfigati, io sono eccellente, sublime, esaltato. Non posso passare dall’altra parte. Che si faccia aiutare da quelli come lui.

E passi oltre e ti allontani.   Ami il prossimo,  se fai come il samaritano.

Non lo conosce, non è un suo amico, è un estraneo, non c’entra per niente con lui. Ma lo unisce il dolore. Il dolore è uguale per tutti, il dolore è uguale in tutti. Il dolore ci unisce tutti. Ci fa tutti fratelli.

Com-passione. Soffre con lui. Soffre per quella ferita, con lui, in lui. Ci sei anche tu in quella ferita. Ti ricorda la tua ferita. Assomiglia alla tua ferita. È lo specchio della tua ferita. Se te ne prendi cura, curi anche la tua. Se la guarisci, guarisci anche la tua.

Gli si fece vicino. Non ha mandato soldi. Non ha mandato altri. È andato lui di persona, vicino, accanto, davanti, di fronte. Concretamente.

Gli fascia le ferite. Guarda quelle ferite da vicino e le tocca, le pulisce, le ripara, le riempie, le abbraccia. Toccare le ferite è toccare la parte più profonda, più importante più intensa di una persona. È entrare in una relazione vera con lei. È quello che Gesù fa con te. È quello che tu fai con lui, quando ti prendi cura di una persona sofferente. In quelle piaghe, in quel dolore, in quella croce, c’è il Signore che ti ha aspettato su quella strada. C’è il Signore che ti ha incontrato in quella strada. C’è il Signore che tocca il tuo cuore, in quella strada.

Proprio perché è il Signore, è Gesù, ferito, piagato, sofferente, non lo lasci lì. Lo prendi su di te e lo porti in un posto sicuro, perché lui è il Figlio di Dio, il tuo tesoro, la tua salvezza. Gli doni le tue energie, il tuo denaro, il tuo tempo, e ritorni per farlo ancora e meglio, fino in fondo.

Se vuoi amare il fratello veramente, fai come il samaritano. E Gesù lo farà con te. Veramente, concretamente, totalmente.